Dedicare
una pagina del proprio sito al proprio padre.
A che pro? A che serve? È
idiota? È ridicolo?
Non lo so, non mi
importa.
Quello che so è che
questo è un modo per me di sentirlo ancora vicino, ma soprattutto è un
modo per rendergli omaggio, visto che non c’è più e che non posso più
avvalermi dei suoi consigli né dirgli semplicemente “Ti voglio bene”.
“Ti voglio bene” è
una frase forse ridicola da dire fra due uomini e forse è per questo
motivo che non glielo ho mai detto. Ho perso migliaia di occasioni buone
per farlo.
Questa pagina è il mio
modo di dirgli “Ti voglio bene”.
Il papà è quella figura
che….o che dovrebbe….o che può....o che sa....
Ora che ho sperimentato
anche io cosa significa essere papà, ho finalmente capito perché tra
genitori e figli regna, generalmente, un po’ di incomprensione.
Mio padre si trovò ad
essere padre nel 1951, quando venni al mondo io. Prima di allora era un
giovanotto di buone speranze, passato attraverso la II guerra mondiale in
qualità di partigiano sulle montagne genovesi. Prima come semplice
partigiano, poi come comandante di distaccamento.
Nel 1970 e quindi molti
anni dopo la fine della guerra, per il suo comportamento gli venne appuntata sul petto la Croce al Valor Militare.
Sono sempre stato fiero di questo conferimento, dal momento in cui
assistetti alla cerimonia fino ad oggi. Se possibile oggi lo apprezzo
ancora di più, perché sono più grande, più consapevole dei valori.
E non mi riferisco al
valore della Croce in se e neanche ad una motivazione piuttosto che ad
un’altra. Per me è importante che lui si sia sentito apprezzato, perché
il suo lavoro, le sue capacità, la sua onestà erano state capite ed
apprezzate da qualcuno.
Lui non si è mai
pavoneggiato con nessuno di questa cosa, non ne ha mai più parlato. Non
era tipo.
La sua vita è sempre
stata improntata alla correttezza e alla semplicità. Cose che mi ha credo
(fortunatamente) trasmesse.
Nel suo lavoro ha sempre
avuto riconoscimenti di stima e di affetto da moltissime persone. Il suo
lavoro era parte integrante di lui, lavorava spesso anche la domenica.
Lo faceva ovviamente per
noi.
Il papà è quello che ti
tiene per mano quando vai a passeggio. La tua, spinta perso l’alto
(perché sei piccolo), la sua che scende a prendere la tua. Quello è il
papà.
Poi cresci e le tue mani
non toccano più le sue. Pendono da spalle alte come le sue, non c’è più
bisogno che la mano di papà prenda la tua. Ormai sai dove andare, da
solo.
Da solo?
Una cosa di cui mi
accorgo andando avanti nella vita ed invecchiando è che da giovane hai i
consigli del padre come dire, gratis. E allora ti rompono, ti offendono,
ti superano. Ma da grande, quando vai da solo, avresti ancora più bisogno
di quei consigli, di quelle parole, di quelle prediche. Quegli stessi
consigli e parole che una volta ti facevano incavolare.
Ora sono grande e vado da
solo. Ma a volte ho la sensazione di non andare da nessuna parte, di non
sapere dove andare, oppure di girare in tondo. E allora penso, penso ai
consigli e alle parole che mio padre mi direbbe in qualsiasi circostanza e
trovo la forza di capire che ora tocca a me fare il padre, tocca a me
essere incompreso dai miei figli.
Una pagina per te, papà.
La tua vita in poche
parole, in poche righe, per barattare tanti anni di incomprensioni e di
arrabbiature. So che erano inevitabili, eravamo padre e figlio….
Poche righe per ricordarti e per tenerti sempre con me.
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